Siamo i genitori di una ragazza di 20 anni che vive la sua malattia, anoressia nervosa, da 3 anni e mezzo, diagnosticata dopo vari consulti medici. Così inizia la dolorosa esperienza di chi vive in Sardegna, una regione in cui non esistono centri specializzati né medici formati alla diagnosi, alla cura e riabilitazione dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Come in tanti altri casi di anoressia, fare una dieta non sempre è il sintomo di qualcosa che poi si è rivelato devastante, ma solo il tentativo di perdere un po' di peso.
Nostra figlia perde 14 chili in 2 mesi, mangiando normalmente con noi durante il pranzo, vomitando a nostra insaputa e mangiando poco o niente a cena.
Inizia la nostra vera paura nel momento in cui anche il ciclo scompare e il peso continua a scendere, e capiamo che il suo silenzio, la sua tristezza, la sua dieta, non sono né un capriccio né un rancore verso di noi ma solo un suo profondo dolore. Decidiamo di agire iniziando la nostra prima tappa dal medico di famiglia che ci indirizza ad una visita dietologica e iniziamo a renderci conto, con dolore e sgomento, di quanta ignoranza sia circondato questo disturbo quando il dietologo suggerisce uno “sciroppo per l’appetito” e al secondo incontro, scoprendo che nostra figlia si induce il vomito, minaccia l’ “amputazione delle mani”. Ecco la realtà e l'insensibilità con cui cominciamo a scontrarci e ci scontreremo ancora. Inizia un tentativo di terapia psicologica che muore sul nascere per dei problemi “personali” della psicologa che promette un appuntamento a cui non terrà mai fede. Stiamo ancora aspettando.
Da questo momento sarà un continuo incontrare medici che possano dare a nostra figlia un supporto psicologico e pschiatrico e ancora più urgentemente una assistenza per il suo fisico debilitato. Tentiamo un ricovero ospedaliero ma i suoi 35 chili di peso non giustificano, a detta del primario, una tale decisione. Siamo allibiti e ci domandiamo se qualcuno ci aiuterà prima che nostra figlia muoia. Ci attiviamo e portiamo avanti, per ben tre mesi, una terapia nutrizionale con le flebo, a casa, che sostiene nostra figlia consentendole di terminare l'anno scolastico e ottenere il diploma a cui lei tiene tanto. Ma dopo questo, ricomincia la discesa : un virus colpisce i nervi delle gambe i cui sintomi, dolori e febbre, si risolvono ma lasciano complicanze a tutt'oggi non ancora risolte. Decidiamo di contattare un centro extraregionale specializzato nella cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare.
A questo punto veniamo a conoscenza dell'esistenza di Palazzo Francisci a Todi che da qualche anno ha in cura, con successo, persone che soffrono di questi disturbi. Attraverso le ASL di competenza otteniamo l'autorizzazione alla prima visita al centro di Todi che si tiene a gennaio di quest'anno e dove si stabilisce un percorso di cura, dopo regolare autorizzazione che otterremo solo dopo un attesa di due mesi. Durante tutto questo tempo, la nostra pratica fa tappa nei diversi uffici delle ASL sia di Quartu S.Elena che di Cagliari, rimbalzando da un ufficio all'altro poiché non si capisce chi è competente a dare l'autorizzazione né chi può portare avanti la pratica.
Stanchi, quasi di mendicare un’assistenza a cui come cittadini pensavamo di avere diritto, pensiamo che la soluzione migliore sia di rivolgersi alla magistratura, sperando che nostra figlia, nel frattempo, riesca a sopravvivere. Dopo altre tappe e l'ulteriore disgusto, amarezza, umiliazione di dover subire anche i commenti gratuiti di una impiegata che si preoccupa che i soldi della sanità non vengano buttati al vento, noi non ci scoraggiamo, continuiamo la nostra battaglia sollecitando tutti gli uffici in cui la nostra pratica si è fermata e infine otteniamo l'autorizzazione al ricovero.
A giugno nostra figlia viene accolta a Todi, inizia la terapia che comprende la riabilitazione nutrizionale, una prova a cui lei probabilmente non era ancora pronta e che viene resa più difficile dalla sua difficoltà a stare lontana da casa e da noi genitori che siamo sempre stati per lei un punto di riferimento. Senza esprimere la nostra sofferenza, ci chiediamo davvero se la lontananza abbia contribuito in maniera determinante all'esito di questo tentativo di cura, che lei ha voluto interrompere immediatamente, proprio per i disagi che ha vissuto. Certamente se avessimo la possibilità di aiutare i nostri figli nella nostra città, loro potrebbero affrontare il “nemico” circondati dai propri cari, dai propri amici, senza dover sostenere anche il dolore della separazione, in solitudine. Tutto questo poi succede a chi è fortunato e può affrontare le spese e i disagi che tali viaggi comportano.
Nonostante le speranze riposte in questo tentativo di cura, ancora oggi ci troviamo a dover risolvere il “problema” ed è così che nasce la nostra associazione di genitori “Voci dell'Anima”, nel tentativo, forti dello stare insieme, di far nascere in Sardegna una struttura adatta alla cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare, affinchè le voci di noi genitori possano trasformare il silenzio dei nostri figli in un grido di vita.