Questi giorni mi sta capitando di utilizzare quello spazio di tempo in cui sono sola per tirare le somme di questo percorso e della mia malattia.
Ricordo che i miei attacchi di voracità non corrispondevano ad un bisogno reale di nutrimento o di gratificazione. Il cibo era l'obiettivo centrale intorno a cui ruotava la mia vita, una droga, ma che a differenza di questa non ha apparenti connessioni morali. Avevo una media di 5-6 episodi di bulimia alla settimana.
Era come se dentro di me si risvegliasse un essere famelico, insoddisfatto, frenetico.
Mangiavo in un angolo della cucina, al buio, in fretta, come una ladra per non essere scoperta e sgridata.
Poi correvo in bagno a vomitare.
Immaginavo che gli altri non potessero credere e capire quanto mi sentivo sfinita, devastata e distrutta. Vedevo loro esuberanti, brillanti e desiderosi di vivere. Esteriormente avevo l'aria di una ragazza sicura e allegra , ma in realtà avevo paura di tutto.
Mi ero costruita una maschera positiva ad uso degli altri, evitando di prendere consapevolezza dei miei problemi, continuando a vivere male, tiravo a campare senza prendere provvedimenti.
Non è stato facile mettermi nelle mani di persone che stanno alle mie spalle. Poco prima di entrare in Comunità ricordo che sentivo la bocca che bruciava, le gengive che sanguinavano e i denti che si stavano rovinando sempre di più per l'acido.
Ero perseguitata da pensieri crudeli di morte che mi costringevano sempre di più a compiere il rito bulimico. Poi venivo presa da un terribile senso di gonfiore allo stomaco e di colpa sulla coscienza, una voce dentro di me minacciava castighi se non avessi posto rimedio, perciò non mi restava altro che vomitare, promettendo a me stessa che non lo avrei fatto mai più.
Spesso pensavo alla dieta con la bocca piena.....
Non capire la causa esatta che riusciva a spiegare questo comportamento assurdo mi portava alla disperazione, ma la paura di essere fuori da questo stesso comportamento distruttivo mi terrorizzava. Non potevo abbandonarmi a nessun aiuto esterno , non lo accettavo, non lo volevo.
Quello che per me era realmente essenziale era buttare la mia vita nel gabinetto per far uscire da me tutta la rabbia e la tristezza che mi stavano invadendo. Sembrava una vera e propria altalena , avevo dentro di me due parti, una che mi permetteva di desiderare qualcosa e l'altra , troppo severa, che disfava questo mio desiderio, avendo sempre il sopravvento. Mi sentivo sola, disperatamente, ma anche tanto colpevole senza giustificazioni, perchè ero prigioniera di me stessa, senza nessuna certezza se non quella della mia malattia.
Ho aspettato anni prima di farmi curare, pensavo di essere l'unica a soffrirne e mi vergognavo di rivelarlo perchè temevo di essere giudicata golosa e ingorda.
Ho trovato il coraggio e l'umiltà per mettermi in discussione, sino al punto di dover demolire l'immagine che mi ero fatta di me stessa, senza scappare più dalla realtà che già conoscevo.
Ho capito che il cibo è un contenuto emotivo fortissimo, legato alla mia sofferenza , al mio modo di chiedere aiuto.
La mia era come dicono una malattia dell'amore, di quello che non riuscivo a percepire quando ero piccola, quella “fame d'amore”e di rapporti autentici. Per questo non si è mai potuta risolvere con una dieta.
Grazie alla Comunità mi sono scoperta diversa dall'immagine che, giorno dopo giorno, mi ero artificialmente costruita. Non esisteva una Francesca sicura di sé, autonoma, capace, ma una bambina tanto spaventata in un corpo da adulta , fragile e sola, con un disperato bisogno di essere amata.
Adesso avverto che la mia vita non è solo qualcosa che devo subire ma un insieme di emozioni che devo vivermi.
Sto gestendo il rapporto col cibo, non lo considero più un nemico come prima, ma adesso lo rispetto. Non è una colpa aver bisogno d'amore, la mia bulimia richiedeva un unico nutrimento: il mio affetto.